Il logorio del potere

Il potere logora chi non ce l’ha, diceva Andreotti. Quando a detenere il potere erano sempre gli stessi e gli altri rosicavano. Nel nuovo millennio, invece, le stanze del potere non sono più di proprietà di qualcuno, ma solo residenze temporanee che vengono affittate a chi arriva al governo. Infatti a logorarsi non è più l’opposizione, ma chi sta al governo. Specialmente da dieci anni a questa parte.

Il primo a logorarsi è stato Monti. Insieme alla Fornero ha formato una delle coppie più temibili degli ultimi vent’anni. 

Poi è arrivato Letta, che confidava nella sua capacità, tutta democristiana di mettere d’accordo tutti. Ma sulla sua strada ha incontrato Renzi che va d’accordo solo con se stesso e non sempre.

Infatti, in seguito, si è logorato da solo. Così come il suo omonimo che è durato appena un anno. 

Dopo di lui Conte sembrava  potesse resistere al logorio del potere, ma, alla fine, anche lui è stato logorato da Renzi, dalla stampa e non solo.

Adesso è il turno di Draghi. Sembrava inossidabile, resistente alla ruggine e al logorio del potere. Invece, pur avendo tanti sostenitori e pochi detrattori, giorno dopo giorno, si sta logorando anche lui. In parte da solo deludendo le mirabolanti aspettative che si erano create su lui e, in parte, con la collaborazione del secondo Matteo. Certo attacca Speranza, ma un certo logorio lo può provocare anche a Draghi e al suo governo.

Ma non sono solo i primi ministri ad essere soggetti a logorio. Anche i segretari dei partiti corrono questo rischio. Il grido di dolore di Zingaretti rimarrà nelle cronache di questi anni venti. E’ uscito velocemente di scena quando ha capito che qualcosa non andava.

Il logorio incipiente deve essere come il mal di testa. Capisci che sta arrivando anche se ancora non senti alcun male. 

Insomma adesso Il potere, logora chi ce l’ha.

Segretaricidio

La notizia era nell’aria da un paio di settimane, ma adesso è ufficiale. Zingaretti è stressato, sfinito, perfino incazzato e vuole dimettersi. 

Il primo segnale si era manifestato qualche settimana fa. Quando Concita De Gregorio, su Repubblica, lo aveva definito onesto, volenteroso, ma privo di iniziativa e ancora di più di carisma. Fin qui niente di strano. I giornali su di lui hanno scritte tante cattiverie che una in più, non sembrava potesse fare una gran differenza. 

Invece quella volta aveva risposto duramente accusando la giornalista di essere una radical chic, di appartenere a quel gruppo di persone che pretendono di dare lezioni a tutti e hanno distrutto la sinistra. Parole inusuali per un uomo tranquillo come lui. Anche se pronunciate dopo anni di consigli, pessimi e non richiesti, che l’ex giornale di sinistra ha dato molto spesso al PD.

Tuttavia quelli che pensano le cose peggiori di lui non sono solo nelle redazioni dei giornali, ma anche in casa sua, nel PD. Le varie correnti interne rimaste sotto traccia per mesi, dopo la capriola di Renzi, hanno cominciato a soffiare più forte di prima. Soprattutto Base Riformista che raccoglie i renziani rimasti nel PD e i cosiddetti Giovani Turchi.

A quanto pare entrambi i gruppi, ma sono solo illazioni., da tempo vorrebbero sostituire Zingaretti con Bonaccini, attuale presidente dell’Emilia Romagna e renziano a intermittenza, che sognerebbe di diventare il nuovo uomo forte del PD.

Mentre Zingaretti, da quando è segretario, non fa che parlare di partito plurale, non personalistico e aperto alla società. Idee da sviluppare in un congresso che, però, a causa della nascita inattesa del governo Conte bis prima, e della pandemia poi, non c’è mai stato. Ci mancava solo la partecipazione forzata al governo Draghi che ha fatto venire alla luce le divisioni interne e il vuoto di idee del partito mettendo ancora una volta a rischio l’esistenza stessa del PD oltre che il futuro politico dello stesso Zinga. Il quale ha capito che alcuni stavano affilando i coltelli per pugnalarlo alle spalle e con l’annuncio delle sue dimissioni ha tentato di anticiparli per schivare i colpi. 

Infatti alcuni, adesso, gli chiedono di ripensarci perché non erano ancora pronti al segretaricidio. Un delitto, che, oltretutto, rimarrebbe impunito perché non ci sarebbe il commissario Montalbano ad assicurare alla giustizia i colpevoli. 

Anche i più vicini a lui gli chiedono di restare, naturalmente con uno spirito diverso. Gli stanno dicendo:”Dai Nicola, rimani, sparisci insieme a noi!”

La corda strappata

L’anno appena cominciato è carico di aspettative. Tutti noi speriamo di tornare a quella normalità che abbiamo quasi dimenticato dopo undici mesi di pandemia. Nei palazzi della politica, invece, sembra sia rimasto tutto uguale o quasi.

La pandemia è stata un motivo di dibattito e polemica come tanti altri. Se non ci fosse stata avrebbero discusso sui tasse, pensioni,  sanità, scuola, fondi europei ed altro ancora, cercando di mantenere la posizione acquisita o di migliorarla.

Tra i primi ci sono senz’altro Conte e Franceschini. Uno si è ritrovato da solo su una poltrona dove prima sedevano in tre, mentre l’altro ha ritrovato inaspettatamente una poltrona, quella dei beni culturali, a cui era molto affezionato. Anche Zingaretti e molti altri del PD stanno bene dove sono, ma non ci tengono a farlo sapere in giro.

Ma, come spesso succede, c’è sempre qualcuno insoddisfatto. Nel nostro caso Renzi. Ha capito che l’uscita dal PD per fondare un nuovo partito non è stata una grande idea. Italia Viva gli va stretto, strettissimo. Troppo piccolo per il suo grande ego. Quindi, negli ultimi mesi ha cercato spesso di mettersi in mostra per guadagnare consensi agli occhi di quello che era il suo elettorato. Poi, visti gli scarsi risultati, ha tentato il tutto per tutto, minacciando e poi dando il via alla crisi per far cadere l’odiato Conte, che, dal canto suo, non vedeva l’ora di dirgli quello che, di negativo, pensa di lui come fece a suo tempo con l’altro Matteo. 

Renzi contava sul fatto che nessuno voleva le elezioni e pur di evitarle Conte e associati avrebbero soddisfatto le sue richieste. In parte ha avuto ragione perché le elezioni non ci saranno. Ma Conte per adesso è riuscito a fare a meno di lui. Da tempo aveva preparato un piano B, quello di rimpiazzare i renziani con qualche forzista in fuga da Arcore e centristi assortiti. Una soluzione poco elegante da prima repubblica che però ai Cinque Stelle non dispiace affatto. Un PD derenzizzato è sempre stato un loro desiderio. Inoltre se il governo va avanti potranno rimanere in parlamento ancora un po’.

Ma Renzi ha continuato a tirare la corda della crisi. Non si è accorto che era già sfilacciata e alla fine si è strappata e lui è finito a gambe all’aria.  Adesso non può nemmeno gridare al complotto .perché anche lui, come il suo gemello diverso Salvini, ha fatto tutto da solo. Rimane da capire il motivo. Gli italiani, a quanto pare, non l’hanno capito e forse nemmeno lui.

Il treno del si

Votare si? Forse. Votare no? Può darsi: Oppure è meglio scegliere il ni e non andare a votare? La risposta non è semplice. La sinistra è divisa come al solito. Zingaretti invita a votare si, ma lo fa sottovoce, senza convinzione, per il quieto vivere. E’ al governo con i promotori del referendum e un no potrebbe creare attriti indesiderati. Ma Prodi voterà no. Mentre Bonaccini, renziano di ritorno, voterà si. Zanda e Speranza, invece, diranno di no. Mentre qualcun altro, ancora più di sinistra, come Paolo Flores d’Arcais , voterà si.

Per un militante o un simpatizzante del Pd è un bel dilemma. Meglio seguire la linea del partito, come una volta, oppure no. Difendere nuovamente la costituzione nata dalla resistenza o cominciare a cambiarla? Il dibattito politico non aiuta a prendere una posizione. I toni sono pacati, quasi dimessi. Anche la bestia, il rotwailer digitale di Salvini qualche volta abbaia ancora, ma non morde più. Non è più un un nemico da cui difendersi, come era successo in Gennaio, in Emilia Romagna, dove in tanti erano andati a votare contro di lui. Del resto in Italia da decenni non si vota per qualcuno, ma contro qualcuno. Salvini era un bersaglio facile da individuare e colpire. Come lo era stato Renzi e, ancora prima, Berlusconi.

Mentre adesso non c’è più un avversario contro cui scagliare il proprio voto. A meno che non si considerino tutti i politici una banda di fannulloni e incapaci, che prendono stipendi favolosi a spese dei contribuenti, come recita la propaganda populista. Un messaggio semplice e diretto facile da diffondere e far credere, ma difficile da smentire. Come una fake new. Anche in questo caso la semplificazione paga.

Mentre se qualcuno volesse fare una scelta informata e consapevole sul quesito referendario si troverebbe davanti una strada in salita. Dovrebbe leggere articoli lunghi e complicati, pieni di riferimenti a leggi elettorali, articoli della costituzione e a politici del passato. Argomenti complessi che, spesso, lasciano il tempo che trovano. Anzi a volte sono controproducenti. Ad esempio quando cercano di dimostrare che il taglio delle poltrone porterebbe ad un risparmio irrisorio di circa cinquanta milioni all’anno, Per un italiano medio che era milionario con la lira ed è stato impoverito dall’euro e dalla crisi cinquanta milioni di euro, che poi equivalgono a cento miliardi di lire, sono una cifra consistente. Forse è anche per questo che il fronte del si, stando ai sondaggi, potrebbe arrivare al’70% o anche più su.

Mentre tra i politici la situazione appare piuttosto diversa. L’entusiasmo iniziale degli annunci acchiappa-voti di un paio di anni fa si è raffreddato. Anche tra i più accesi sostenitori del taglio dei seggi come i grillini. Forse si sono resi conto che l’esito di questo referendum li riguarda direttamente. Infatti potrebbe tagliare a molti di loro il ramo, anzi la poltrona, sulla quale sono comodamente seduti, che già traballava in vista delle prossime elezioni, a causa della perdita di consensi avvenuta negli ultimi due anni. Poi, con la vittoria del si, i posti disponibili si ridurrebbero ulteriormente, suscitando parecchi malumori.

Anche nei partiti di destra la situazione è simile. Infatti ogni giorno da qualche loro esponente arrivano appelli per il no. Sia pure con toni piuttosto sfumati perché ormai il referendum è come un treno in corsa, carico di si, che è impossibile fermare. Quindi non possono fare altro che prepararsi al dopo voto, magari sperando di attenuarne o annullarne gli effetti. Come accadde anni fa con alcuni quesiti referendari regolarmente votati dalla maggioranza degli elettori, ma rimasti lettera morta.

Comunque, nell’attesa che il treno del referendum, arrivi alla meta, all’ultima stazione dell’antipolitica, chi vorrà vincere facile voterà si. Chi si accontenterà di una vittoria virtuale diserterà le urne, poiché questa. probabilmente, sarà la scelta che farà la grande maggioranza degli aventi diritto.

Mentre gli irriducibili di sinistra, quelli abituati da anni alle sconfitte, ma fieri di appartenere ad una minoranza virtuosa, voteranno no. Convinti che valga la pena di combattere anche una battaglia che sembra persa in partenza. Non si mai.

Uno sguardo da sotto il ponte

Unknown

 

Durante il lockdown era cambiata la nostra percezione del tempo. Anche qui in provincia dove la vita non è frenetica come in una metropoli. Per molti ritrovarsi improvvisamente l’agenda giornaliera quasi vuota con l’unico impegno di andare a far spesa o portare i giro il cane, è stato traumatico.

Le giornate di solito corte. con le ore che passavano veloci sono diventate lunghe, a volte interminabili. Era come se tutto il mondo, o meglio, il nostro piccolo mondo, si muovesse al rallentatore. Durante il fine settimana, molto spesso soleggiato, era anche peggio. Niente gita fuori porta né passeggiata al parco o in centro. Negozi chiusi e strade deserte.

Solo la tv aveva mantenuto il solito ritmo frenetico da spot pubblicitario interrotto ogni tanto da qualche programma. Per lo più film o talk show. Anche i tg hanno cercato di mantenere un certo ritmo, ma solo i tanti esperti da bar lo hanno retto con entusiasmo. Mentre i loro protagonisti principali, i politici erano un pò rallentati, a tratti confusi, a volte contagiati. Si passava dalle scenette tragicomiche del duo Fontana-Gallera, alla malattia di Zingaretti, alle sparate di De Luca. Tutti in diretta via internet. Rallentati e improbabili.

L’unico che ha continuato a muoversi a velocità normale era lui, l’ex Giuseppi. Non solo. Ha pure aumentato il ritmo. Mentre l’opposizione giocava ad apri e chiudi lui, dapprima ci ha chiuso in casa e poi ha cominciato a rimbalzare da un canale tv all’altro a spiegarci perché l’aveva fatto.

Ma non si è limitato a questo. Ha allontanato dalla scena il suo ex padroncino di Maio e si è assicurato l’appoggio del Quirinale, diventando In breve tempo il protagonista principale della scena politica .Non appena se ne è reso conto, come già altri arrivati prima di lui all’apice del successo, ha rilanciato l’idea del ponte sullo stretto.

Ma poi, forse ricordandosi che i suoi predecessori dopo aver rispolverato quel vecchio progetto erano caduti in disgrazia, ha cambiato idea: meglio un tunnel sottomarino.

Un’idea probabilmente inattuabile, ma almeno inedita.

Nella speranza che non porti sfortuna.

Forse ritornano

A quanto pare parecchi italiani sono stati conquistati dallo stile pacato e amichevole di Giuseppe Conte. Un politico che vorrebbe dare qualcosa a tutti. Alle imprese grandi e piccole, ai commercianti, ai dipendenti, a chi ha una partita iva, ai precari, agli insegnanti, ai disoccupati. Oltre naturalmente a tutto il personale sanitario e al SSN. Senza dimenticare la chiesa.

Il modo e il tono con cui Conte va ripetendo tutti i giorni queste promesse ricordano molto quello degli esponenti di un partito della prima repubblica: la DC. Un partito rassicurante la cui politica era quella di mantenere lo status quo, apportando, ogni tanto, qualche leggera modifica..

Ma Conte non è solo. Insieme a lui ci sono altri politici che si ispirano o provengono dalla scuola dello scudo crociato e svolgono ruoli di primo piano.

Ad esempio in casa PD. Dopo che il segretario, il povero Zingaretti, è andato a prendere un aperitivo con il virus in omaggio a Milano, la sua immagine si è un po’ appannata.

Ma dietro di lui c’è sempre Dario Franceschini, un ex democristiano che lavora ogni giorno per tenere insieme uno dei governi più inaspettati della storia. Oltre che per salvaguardare la propria e le altrui poltrone.

Non solo. Anche nei partiti di opposizione molti sono pronti a vestirsi di bianco. Infatti da quella che fu la regione più bianca d’Italia, il Veneto, sta arrivando Luca Zaia che viene da una famiglia democristiana doc e agli occhi di molti leghisti appare più capace e moderato dell’attuale segretario.

Insomma, gli italiani, in questa bufera virale vogliono essere rassicurati come ai tempi di mamma DC.

Torneremo democristiani?

Il miracolo di Arlecchino

Conte

Lo avevano paragonato ad Arlecchino servitore di due padroni. Anche se non sembrava furbo e arguto come il personaggio messo in scena mille volte da Strehler.

Ma anche lui aveva due padroni ingombranti e prepotenti che lo usavano come prestanome con il compito di mediare tra posizioni spesso divergenti. Un lavoro che ha svolto con grande impegno.

Intanto, però, giorno dopo giorno, prendeva nota dei rospi che doveva ingoiare. Finché uno dei due padroni, quello più prepotente, ha fatto un passo falso. E lui si è sentito come quando, durante un processo, la difesa trova una falla nell’impianto accusatorio del PM e si è lanciato in una arringa feroce con cui ha fatto a pezzi il suo ex padrone.

Nel frattempo anche l’altro padroncino è caduto in disgrazia e adesso si è aggrappato all’unica poltrona che gli è rimasta come un naufrago ad un salvagente.

Così Conte, è entrato sempre più nella parte del presidente e, nello stesso tempo, senza farlo sapere in giro, si è trasferito sulla nave traballante, ma comunque ancora a galla, del PD.

Molti hanno riso, e qualcuno si è anche indignato, quando Zingaretti lo ha definito un punto di riferimento per la sinistra. Ma forse lo aveva detto ricordando quello che Napoleone chiedeva ad un generale prima di arruolarlo. Pare, infatti, che alla fine del colloquio fosse solito chiedere:” Lei è fortunato?”

I fatti, incredibilmente, potrebbero dare ragione al povero Zinga. In effetti Conte fortunato lo è, eccome. Non solo si è ritrovato ad assumere un ruolo che mai avrebbe immaginato di poter ricoprire, ma grazie anche ad un virus venuto da lontano sta scalando la classifica della popolarità.

Il suo tono rassicurante e pacato pare piaccia agli italiani. Soprattutto dopo la stagione di contrapposizione feroce che scivolava spesso nell’odio. Insomma sembra l’uomo giusto arrivato al momento giusto.

Conte ne è consapevole e sta ben attento a non fare un passo falso. Padre Pio, o chi per lui, gli ha fatto un grosso miracolo e lui sa benissimo che i miracoli non si ripetono.

Piove

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Piove.

I fiumi si ingrossano e Venezia va sott’acqua.

La legge finanziaria del governo rischia di affondare sotto una pioggia di emendamenti.

Intanto Conte cerca di ripararsi anche se non sa esattamente come.

Di Maio è sotto una pioggia di critiche da parte dei suoi e non sa che fare.

Salvini voleva fare il solito bagno di folla e ha trovato una piazza piena di sardine.

E Zingaretti? E’ in vacanza in America e si fa i selfie con Clinton.

Forse aspetta che rispunti il sole per tornare e vederci più chiaro nella situazione politica. Forse…

Paure e sospetti

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Il sospetto ce l’avevano  da tempo, ma in questi giorni nebbiosi si è riprodotto e ha dato vita a tanti piccoli sospetti. Sospettano di amici, parenti, conoscenti e vicini di casa. Di tutti quelli che non hanno espresso giudizi negativi sul governo precedente ed, in particolare, sull’ex inquilino del Viminale.

Dopo la disfatta umbra, annunciata, ma non per questo meno bruciante, in Emilia Romagna temono che anche dalle loro parti la bandiera verde possa sostituire quella rossa. Questa prospettiva li rende diffidenti. Anche nei confronti di chi si è sempre schierato a sinistra. Almeno a parole.

Come nel caso  dei cosiddetti radical chic che, ad ogni occasione, criticano il PD.  Raramente la destra. Trovano che sia un esercizio banale che lasciano fare volentieri ad altri.

Diffidati sono anche quelli che non parlano mai di politica, ma si lamentano delle tasse, delle bollette, dei prezzi alti e di tutto quello che si paga.

Poi ci sono i sorvegliati speciali. Quelli che, da anni ripetono quello che fu il tormentone del Bagaglino: “I politici sono tutti uguali. Tutti ladri. È tutto un magna magna.” Dal qualunquismo teatrale al leghismo il passo potrebbe essere breve.

Insomma, da quelle parti hanno paura di non avere molte possibilità di evitare un’invasione di camicie verdi. Sanno che molto dipenderà dal governo Mazinga che però con la faccia di Conte, il braccio sinistro di Zingaretti, quello destro di Di Maio e le gambe di Franceschini, non sembra molto forte.

Non è certo dotato di missili perforanti o del micidiale raggio termico in grado di incenerire i nemici in una frazione di secondo.

Ha solo tante buone intenzioni più che, per ora, hanno prodotto solo una valanga di cifre e indiscrezioni più o meno fondate. Quindi, se le cose non cambieranno in fretta, gli abitanti di questa parte della pianura padana pensano che non rimarrà loro altro da fare che sperare in un miracolo.

Per ottenerlo qualcuno ha suggerito di non affidarsi ad un semplice santo, ma di rivolgersi più in alto.

Magari riprendendo la famosa affermazione che Don Camillo usava per fare appello alla coscienza degli elettori.

Ovvero: ”Nella cabina elettorale Dio ti vede. Salvini, no!”