Non c’è niente da ridere

Un paio di settimane fa ho incontrato un mio ex professore di università.

Insegna sociologia della comunicazione. Mi ha raccontato che un suo allievo voleva preparare una tesi di laurea sul cinema comico. Aveva intenzione di analizzare il rapporto tra il personaggio comico e la società.

Ma lui ha rifiutato sostenendo che una tesi del genere si poteva proporre trent’anni fa, ma non nel terzo millennio.

Perché, secondo lui, di comici veri in giro per il mondo ne sono rimasti pochi. In Italia ancora meno. Al cinema ci sono solo macchiette e in tv tanti cabarettisti sui generis che prendono in giro mogli, fidanzate e parenti vari, oppure fanno il verso a qualche spot pubblicitario.  Ma non fanno ridere.

Però, sostiene il prof., non è tutta colpa loro. Il mondo è cambiato. Un volta quello comico era un personaggio che cercava comportarsi come un cittadino medio, normale, ma senza riuscirci. Dai suoi inutili tentativi scaturiva la comicità e la denuncia delle distanza incolmabile tra i modelli di comportamento imposti dalla società occidentale e la realtà.

Ma adesso in questa società liquida non ci sono più modelli veri e propri da imitare o da prendere in giro

Così l’unica comicità rimasta è quella involontaria di tanti personaggi pubblici, soprattutto politici.

A cominciare da un ex presidente che racconta vecchie barzellette anni cinquanta.
Poi c’è quello che imita male un dittatore del passato. Un altro che pensa di essere ancora presidente del consiglio.

Un altro ancora che pensava di essere un ministro e tanti altri che, ogni giorno, fanno la parodia di se stessi.

Oltre naturalmente ai personaggi folcloristici alla Razzi.

Ma anche loro, pur essendo potenzialmente comici, non fanno ridere.