
Una volta da queste parti, nella pianura padana, la nebbia era di casa.
Una nebbia grassa come il vapore della cottura a fuoco lento della carne di cappone. Sapeva di erba bagnata, di foglie, di rami umidi e di freddo. A volte sembrava avesse uno spessore, una consistenza. Infatti quando era molto fitta, sembrava che si potesse tagliare con il coltello.
Quando la visibilità, specialmente di notte, era ridotta quasi a zero sembrava di essere in mezzo ad una nuvola senza più nulla intorno. Ti lasciava solo con te stesso, le tue paure, i tuoi fantasmi e i tuoi sogni
Forse per questo aveva ispirato poeti, scrittori e musicisti. Nella bassa padana vicino al Po, dove era sempre più presente e più fitta, aveva anche una caratteristica più prosaica, ma utile, quella di far maturare i salumi.
Ricordo un anno in cui la nebbia ristagnò per qualche settimana. Così, ogni tanto, andavo in collina. Salivo finché la nebbia si diradava ed appariva finalmente il sole. Allora scendevo dalla macchina e facevo quattro passi mentre guardavo in basso e vedevo quel mare bianco, pieno di umidità da cui spuntavano qua e la’, come isole, le cime più alte. Uno spettacolo che non mi stancavo mai di ammirare.
Da anni ormai questa nebbia è sparita insieme ai mulini sul Po, alle amministrazioni rosse e alle feste dell’Unità. Adesso è leggera, evanescente e non ha più l’odore dei pioppi carichi di umidità, ma la puzza dello smog. Infatti si è sposata con la nube marrone che alligna quasi tutto l’anno sulla pianura padana.
Non ha più niente di utile, poetico o leggendario. Fa solo male alla salute. Non è più l’alito del Drago evocato da mago Merlino, ma solo quello del Pil.