La scatola

La confusione regna sovrana in casa PD. Il più confuso sembra essere Letta, segretario terminale. Ha dichiarato che farà opposizione a quelli che, invece di fare opposizione al governo, non perdono occasione per fare opposizione all’opposizione.

Tradotto voleva dire che si opporrà al duo liberal kitsch Renzi-Calenda. Aveva cercato di dividerli offrendo a Calenda un numero spropositato di seggi. Sapeva che Renzi da solo avrebbe avuto  poche probabilità di essere rieletto. Ma Calenda con un ennesima giravolta aveva disdetto l’accordo già sottoscritto. 

Quindi, se prima ne odiava uno, adesso li odia entrambi. Povero Letta.

Renzi è diventato la sua bestia nera. Se non arriva presto qualcuno a prendere il suo posto rischia di finire come l’ispettore capo Dreyfus che odiava Clouseau fino alla pazzia nei film della Pantera Rosa.

Al congresso di Marzo mancano ancora quattro mesi e, nel frattempo, deve comunque fare il segretario. Impresa non facile. Infatti dopo la batosta elettorale, sembra che stia facendo il facente funzione di se stesso.

La sua ultima iniziativa è stata quella di convocare iscritti, simpatizzanti e passanti per tre sabati per  discutere su come riempire di idee la scatola della sinistra, o meglio, quello che è rimasto della sinistra. Si è accorto anche lui che il PD attuale è proprio questo: una scatola vuota.

Ma quel che è peggio, è che nessuno sa cosa metterci dentro.

Poltrone e sofà

Dunque la nuova legislatura è cominciata con il botto, anzi con una rissa durante la quale l’ex Cav è stato ferito nell’orgoglio.

Lui che è abituato a comandare non poteva certo accettare un no come risposta ad una sua richiesta. Per di più da una donna, che non fa parte della sua allegra compagnia e che, oltre a tutto,  gli ha rubato la scena.

Quindi si è parecchio inbufalito. Ha messo nero su bianco quello che pensava della Meloni e ha ordinato ai suoi di non votare. Naturalmente lei non ha gradito e ha fatto sapere che  non intendeva ricevere ordini dall’ex cavaliere pur rischiando la sconfitta alla prima uscita. Ma al momento della votazione sono spuntati, come per magia, 19 voti in più che hanno consentito l’elezione di La Russa al primo tentativo. 

Superata la sorpresa gli addetti ai lavori hanno subito sospettato di Renzi. Sarebbe stato lui, infatti, insieme ai senatori di Iv ed ai suoi seguaci rimasti nel PD, ad offrire alla Meloni l’aiutino di cui aveva bisogno, intravvedendo la possibilità di tornare protagonista. Infatti se il Cav si sfilasse davvero, lui e i suoi diventerebbero decisivi per la tenuta della maggioranza e potrebbero farla cadere in qualunque momento. Magari per far tornare Draghi o chi per lui. Come vorrebbero banche ed imprese. 

Quindi Renzi, che da tempo tenta di accreditarsi come valido interlocutore presso banche ed imprese, avrebbe colto l’occasione al volo mettendo le mani avanti ancora prima che nasca il governo. Almeno così dicono i commentatori più maliziosi.

Chissà se la Meloni ha gradito l’aiutino. Sicuramente potrebbe farle comodo visto che la convivenza con Salvini e l’ex Cav potrebbe trasformarsi in una corsa ad ostacoli.

Era appena riuscita a far dimenticare il Viminale a Salvini  che l’ex Cav si è messo di traverso. Pare, infatti, che, per la Ronzulli, potrebbe anche accontentarsi di una seggiola, ma sulla poltrona della giustizia sembra irremovibile. La vorrebbe per la Casellati e non sembra disposto a cambiare idea. Qualche ora fa pare abbia dichiarato di aver raggiunto il suo scopo. Chissà!

Dall’altra parte il PD ha fatto una magra figura, come è successo altre volte. Ma una in più non farà poi una gran differenza.

Anche nel sedicente terzo polo, come nel primo, pare ci sia maretta. Renzi sembra intenzionato a disertare le consultazioni per il nuovo governo. Il motivo non si sa. Ma si suppone che la convivenza con un altro che, come lui, non perde occasione per mettersi in mostra cominci a risultare difficile. Del resto lui e Calenda si sono uniti e lasciati già altre volte. Il mondo è troppo piccolo per tutti e due. Figuriamoci un partito. 

Comunque sia per adesso noi spettatori possiamo solo aspettare la prossima puntata e allacciarci le cinture perché ci sono sicuramente turbolenze in arrivo.

Questo è solo l’inizio dell’ennesima riedizione della tragicomica commedia, che è diventata la politica italiana. Infinita come le promozioni di poltrone e sofà.

Lo spettacolo è assicurato, ma il nostro futuro è incerto.

Il campo dei miracoli

Dunque  Draghi se n’è andato sbattendo la porta. Indignato per la pochezza dei politici che non hanno apprezzato la sua grandezza.

Adesso, ci vorrà un po’ di tempo, ma non troppo, per elaborare il lutto causato dalla grave perdita, soprattutto economica. Infatti come ci hanno spiegato con viva preoccupazione, i giornali nelle ultime settimane, un governo in carica solo per occuparsi dell’ordinaria amministrazione non potrà distribuire i soldi del Pnrr. Toccherà al prossimo governo e chissà in che mani finirà quella valanga di soldi. Sicuramente in mani meno esperte e meno amiche di banche ed imprese di quelle di Draghi il super banchiere.

Tra i tanti in lutto per dipartita di Draghi c’é n’é uno che sembra più inconsolabile degli altri: Enrico Letta. Ha dichiarato che passerà la campagna elettorale a denunciare i  congiurati che lo hanno tradito. Quindi niente più alleanza con Conte.

Meglio Di Maio che ha dimostrato di essere fedele a Draghi oltre che alla sua poltrona di ministro degli esteri. 

Mentre gli è venuto qualche dubbio su una possibile alleanza con Renzi. Quel cognome gli ricorda qualcosa di spiacevole. E poi anche lui, il senatore di Rignano, ha dichiarato che non entrerebbe mai in un’alleanza che comprendesse i 5stelle.

Ma non è detto che vada così. Infatti nel caso che si presentasse alle urne da solo avrebbe buone probabilità di non essere eletto. Quindi gli converrebbe entrare in qualche campo, largo o stretto che sia.

Mentre dall’altra parte Salvini pensa di essersi vendicato di Conte che lo cacciò dopo il Papeete.  Ma non ha pensato che dopo le elezioni ,probabilmente, la Meloni prenderà la guida del cdx e lui sarà un suo subalterno.

Mentre il vecchio Caimano sfuggito ai medici e alle badanti lancia promesse vecchie di quasi trent’anni che non fanno nemmeno più ridere.

Insomma i politici hanno già cominciato ad invitarci nel loro campo dei miracoli dove basta seminare un voto per vedere crescere, come per magia, un albero della cuccagna. Ma alle favole, ormai, non credono più nemmeno i bambini.

Operazione bis

Dicono che mercoledì scatterà l’operazione bis. Che non è quella del supermercato dove prendi due e paghi uno. Ma  vuol dire che prenderemo il Draghi bis e continueremo a pagare care bollette, benzina, alimentari e tasse. Anche Draghi stesso non sembra entusiasta di concedere il bis. Infatti chi lo conosce dice che preferirebbe lasciare la compagnia perché lui è un uomo di valore, non come quelle mezze seghe dei politici che non ubbidiscono ai suoi ordini e continuano a litigare tra di loro e a fare giochetti infantili come degli scolari indisciplinati. Ma lui è prima di tutto un servitore dello stato e visto che Mattarella lo ha invitato e restare, rifarà un governo con o senza Conte e soci.

Anche l’ex avvocato del popolo ha qualche problema. In teoria passare all’opposizione, potrebbe far aumentare i suoi scarsi consensi, visto che l’opposizione praticamente non esiste. Certo ritrovarsi in compagnia di Dibba e della Meloni sarebbe imbarazzante, ma non di più che stare insieme a Brunetta e alla Gelmini. 

Ma nel Pd, che in teoria dovrebbe essere suo alleato alle prossime elezioni, c’è chi è contrario al suo addio a Draghi. In particolare Franceschini che lo ha avvertito in modo perentorio. Se lascerà il governo dovrà dire addio anche all’alleanza con il PD. Ma Franceschini  ex DC sembra mosso anzitutto dal timore di perdere la sua adorata poltrona di ministro dei beni culturali che aveva ottenuto con il governo Renzi e mantenuta con Gentiloni. Quindi persa momentaneamente con il Conte 1, ma poi prontamente riconquistata con il Conte 2 e mantenuta con Draghi. Quindi magari  basterà assicurargli che la manterrà a vita e cambierà idea.

Ma quello che preoccupa di più il Conte di Volturara è un altro che si oppone alla sua partenza, quello che, a suo tempo, era il suo secondo santo in paradiso dopo padre Pio: Sergio Mattarella. Infatti finora non ha sfiduciato il governo né ritirato i suoi ministri. Ha solo alzato la voce per dare un segno di vita in vista delle prossime elezioni. Sta ancora pensando se fare le valigie o no.

Mentre per noi elettori spettatori se Draghi concederà il bis non cambierà molto. Anzi niente. Se invece, rinunciasse allora ci ritroveremmo subito in campagna elettorale. con la consueta noiosa sfilata dei soliti noti che non hanno niente da dire, ma vogliono dirlo lo stesso. Ma al CDX , dicono i sondaggi, tanto basterebbe per  vincere.

Mentre dall’altra parte, l’idea del campo largo con dentro Renzi e Calenda suscita sentimenti contrastanti. Risate, incredulità, disapprovazione e anche curiosità. Che Letta, alla fine, si sia davvero dimenticato ’“Enrico stai sereno?” Eppure, a suo tempo, sembrava che intendesse lavare l’onta con il sangue di Renzi…

Ubiquità

Da parecchie settimane la situazione politica sembra cristallizzata, immobile e ripetitiva. Ogni giorno leggiamo, come sempre, raffinate e sottili disquisizioni sulle parole dette e non dette da Draghi.

Le ultime sono quelle scritte sul pasticcio delle misure anticovid che lo ha visto costretto, per la prima volta, a faticosi compromessi che hanno dato vita a misure  probabilmente utili solo a creare confusioni e conflitti. Ma che importa.

Dicono che è comunque un buon segno. Vuol dire che i partiti ritornano a far sentire al loro voce a svolgere il loro ruolo democratico. Che poi i partiti in questione siano la Lega e FDI che esprimono idee non proprio democratiche è solo un dettaglio.

Ma Draghi non ha gradito. Il compromesso non è nella sue corde. Lui è abituato a dare ordini e a vederli eseguire. Perché sa cosa è meglio per il paese, anzi per il suo Pil. Infatti i giornali  scrivono ogni giorno, da mesi, che il Pil è in crescita e Draghi è il suo profeta.

Non dicono che la crescita attuale è stata favorita dalla finanziaria del precedente governo. Non spiegano nemmeno a che prezzo il Pil sta crescendo. Aumento degli infortuni sul lavoro, delle disuguaglianze e della povertà. E neppure si sente più dire che l’ex BCE non è mai stato eletto. Un tormentone che abbiamo sentito per anni, da Monti a Conte, passando per Renzi.

Ma Draghi è l’ennesimo unto del Signore, l’uomo della provvidenza, una grande risorsa per il paese. Talmente preziosa che molti vorrebbero si sdoppiasse. Così potrebbe rimanere al governo e contemporaneamente andare al Quirinale. Ma tra le tanti doti  a lui attribuite i non c’è quella dell’ubiquità. Una mancanza che tormenta i partiti da settimane.

Ma lui ponendo fine all’imbarazzo generale, sembra aver trovato la soluzione del problema. Prenderà il posto di Mattarella e metterà il pilota automatico al governo. Ovvero piazzerà un suo uomo di fiducia, un alter ego, a fare il premier.  Semplice e geniale. i politici non ci avevano ancora pensato e, forse, non ci penseranno mai. Chissà!

Gemelli quasi diversi

Hanno lo stesso nome e più o meno la stessa età. Hanno partecipato entrambi ad un quiz televisivo.

Entrambi sono scarsi come imitatori: tempo fa uno si lanciava nell’imitazione del Duce mentre l’altro preferiva Fonzie.

Amano fare selfie con chiunque e smanettare sui social.

Una volta diventati segretari hanno portato il loro partito più a destra.

La loro autostima è alta, a volte esagerata. Amano il potere e lo esercitano con molto piacere.

Hanno un bisogno quasi fisico di essere al centro dell’attenzione, sotto la luce dei riflettori e davanti alle telecamere.

Nati per comandare, almeno secondo loro,  cercano di assumere il piglio decisionista del capo, quello che non deve chiedere mai.

Oltre che in sé stessi credono un po’ anche in Dio e nella Madonna. Infatti si dichiarano cattolici praticanti e nel loro pantheon personale mettono entrambi Giovanni Paolo II.

Adesso si ritrovano spesso insieme dalla stessa parte della barricata, di solito contro il governo di cui fanno parte. Come nel caso del ddl Zan e del reddito di cittadinanza. 

Ma qualche differenza comincia a venire alla luce. 

Matteo S., da quando se n’è andato dal Viminale, ha perso il piglio da capitano ed è spesso impegnato in veloci slalom tra posizioni e opinioni  diverse che cambia da un giorno all’altro, come una cravatta. 

Mentre Matteo R. è ancora assolutamente sicuro di sé. Basti pensare alla sicumera con cui si è lanciato contro il RDC con motivazioni che, probabilmente, hanno fatto rabbrividire i suoi colleghi.

Nessun politico, neppure l’altro Matteo, infatti, si sarebbe azzardato a dire che gli italiani devono soffrire e sudarsi il loro magro stipendio: Giusta punizione per non essere riusciti ad emulare Steve Jobs o Jeff Bezos. 

Un’affermazione scaccia-elettori che va decisamente contro la continua ricerca del consenso, la prima preoccupazione dei politici del nuovo millennio. 

Ma lui insiste perché l’importante è esserci, apparire, far in modo che si parli di lui. 

Probabilmente non ha ancora capito il motivo del suo incredibile e inatteso successo e del rapido declino che ne è seguito. 

Adesso cerca in ogni modo di sfuggire all’ irrilevanza, la sua paura più grande, che condivide con l’altro Matteo. Ma, come sostiene la psicanalisi, più si cerca di sfuggire al proprio destino e più gli si va incontro. 

Matteo S, invece, più tranquillo, probabilmente tornerà al Papeete a fare il DJ.

Il logorio del potere

Il potere logora chi non ce l’ha, diceva Andreotti. Quando a detenere il potere erano sempre gli stessi e gli altri rosicavano. Nel nuovo millennio, invece, le stanze del potere non sono più di proprietà di qualcuno, ma solo residenze temporanee che vengono affittate a chi arriva al governo. Infatti a logorarsi non è più l’opposizione, ma chi sta al governo. Specialmente da dieci anni a questa parte.

Il primo a logorarsi è stato Monti. Insieme alla Fornero ha formato una delle coppie più temibili degli ultimi vent’anni. 

Poi è arrivato Letta, che confidava nella sua capacità, tutta democristiana di mettere d’accordo tutti. Ma sulla sua strada ha incontrato Renzi che va d’accordo solo con se stesso e non sempre.

Infatti, in seguito, si è logorato da solo. Così come il suo omonimo che è durato appena un anno. 

Dopo di lui Conte sembrava  potesse resistere al logorio del potere, ma, alla fine, anche lui è stato logorato da Renzi, dalla stampa e non solo.

Adesso è il turno di Draghi. Sembrava inossidabile, resistente alla ruggine e al logorio del potere. Invece, pur avendo tanti sostenitori e pochi detrattori, giorno dopo giorno, si sta logorando anche lui. In parte da solo deludendo le mirabolanti aspettative che si erano create su lui e, in parte, con la collaborazione del secondo Matteo. Certo attacca Speranza, ma un certo logorio lo può provocare anche a Draghi e al suo governo.

Ma non sono solo i primi ministri ad essere soggetti a logorio. Anche i segretari dei partiti corrono questo rischio. Il grido di dolore di Zingaretti rimarrà nelle cronache di questi anni venti. E’ uscito velocemente di scena quando ha capito che qualcosa non andava.

Il logorio incipiente deve essere come il mal di testa. Capisci che sta arrivando anche se ancora non senti alcun male. 

Insomma adesso Il potere, logora chi ce l’ha.

Enrico 2, la vendetta

La proposta è sicuramente indecente e anche piuttosto insidiosa.

Gli hanno offerto una poltrona piuttosto scomoda, quella di segretario del PD. Qualunque politico con un un minimo di amor proprio di fronte ad una proposta del genere sarebbe fuggito a gambe levate. Il rischio di perdersi nel labirinto delle correnti del partito o di finire ostaggio di una o dell’altra è molto alto.

Avrebbe potuto fingere di non essere in casa, oppure di avere il telefono scarico, invece, lui, Enrico Letta, ha risposto. Ha riflettuto per un paio di giorni e ha accettato. Quindi ha deciso di porre fine all’esilio parigino per tornare sotto i riflettori con un ruolo di primo piano. Un ruolo scomodo e pericoloso che potrebbe finire male, oppure dargli l’opportunità di assaporare il gusto della vendetta che tante volte gli sarà passata per la mente.

Quello stai sereno non l’ha mai digerito e Renzi gli è rimasto sullo stomaco da quel giorno di sette anni fa, il 22 Febbraio del 2014, quando dovette consegnargli la campanella del primo ministro.

Questa potrebbe essere un’occasione insperata per regolare i conti con lui. Quelli che nel PD, Zingaretti in testa, vorrebbero sbarazzarsi di Renzi e della sua corrente saudita, devono aver pensato che lui potrebbe essere l’uomo giusto per questa missione quasi impossibile.

Certo la sua motivazione è forte, ma non si è mai dimostrato aggressivo né particolarmente deciso. In fondo viene dalla scuola delle DC dove si insegnava l’arte del compromesso e non quella dello scontro. Adesso, invece, bisognerebbe combattere in campo aperto e senza uno scudo crociato dietro cui ripararsi. Senza contare il rischio di essere impallinato dal fuoco amico.

Però potrebbe trovare un alleato in Conte, richiamato alle armi da Grillo, che un Matteo lo ha già liquidato e, probabilmente, non vede l’ora di fare altrettanto con il secondo. Formeranno una strana coppia, ma nessuno ci farà caso.

Da un anno ormai viviamo strani giorni.

Segretaricidio

La notizia era nell’aria da un paio di settimane, ma adesso è ufficiale. Zingaretti è stressato, sfinito, perfino incazzato e vuole dimettersi. 

Il primo segnale si era manifestato qualche settimana fa. Quando Concita De Gregorio, su Repubblica, lo aveva definito onesto, volenteroso, ma privo di iniziativa e ancora di più di carisma. Fin qui niente di strano. I giornali su di lui hanno scritte tante cattiverie che una in più, non sembrava potesse fare una gran differenza. 

Invece quella volta aveva risposto duramente accusando la giornalista di essere una radical chic, di appartenere a quel gruppo di persone che pretendono di dare lezioni a tutti e hanno distrutto la sinistra. Parole inusuali per un uomo tranquillo come lui. Anche se pronunciate dopo anni di consigli, pessimi e non richiesti, che l’ex giornale di sinistra ha dato molto spesso al PD.

Tuttavia quelli che pensano le cose peggiori di lui non sono solo nelle redazioni dei giornali, ma anche in casa sua, nel PD. Le varie correnti interne rimaste sotto traccia per mesi, dopo la capriola di Renzi, hanno cominciato a soffiare più forte di prima. Soprattutto Base Riformista che raccoglie i renziani rimasti nel PD e i cosiddetti Giovani Turchi.

A quanto pare entrambi i gruppi, ma sono solo illazioni., da tempo vorrebbero sostituire Zingaretti con Bonaccini, attuale presidente dell’Emilia Romagna e renziano a intermittenza, che sognerebbe di diventare il nuovo uomo forte del PD.

Mentre Zingaretti, da quando è segretario, non fa che parlare di partito plurale, non personalistico e aperto alla società. Idee da sviluppare in un congresso che, però, a causa della nascita inattesa del governo Conte bis prima, e della pandemia poi, non c’è mai stato. Ci mancava solo la partecipazione forzata al governo Draghi che ha fatto venire alla luce le divisioni interne e il vuoto di idee del partito mettendo ancora una volta a rischio l’esistenza stessa del PD oltre che il futuro politico dello stesso Zinga. Il quale ha capito che alcuni stavano affilando i coltelli per pugnalarlo alle spalle e con l’annuncio delle sue dimissioni ha tentato di anticiparli per schivare i colpi. 

Infatti alcuni, adesso, gli chiedono di ripensarci perché non erano ancora pronti al segretaricidio. Un delitto, che, oltretutto, rimarrebbe impunito perché non ci sarebbe il commissario Montalbano ad assicurare alla giustizia i colpevoli. 

Anche i più vicini a lui gli chiedono di restare, naturalmente con uno spirito diverso. Gli stanno dicendo:”Dai Nicola, rimani, sparisci insieme a noi!”

La corda strappata

L’anno appena cominciato è carico di aspettative. Tutti noi speriamo di tornare a quella normalità che abbiamo quasi dimenticato dopo undici mesi di pandemia. Nei palazzi della politica, invece, sembra sia rimasto tutto uguale o quasi.

La pandemia è stata un motivo di dibattito e polemica come tanti altri. Se non ci fosse stata avrebbero discusso sui tasse, pensioni,  sanità, scuola, fondi europei ed altro ancora, cercando di mantenere la posizione acquisita o di migliorarla.

Tra i primi ci sono senz’altro Conte e Franceschini. Uno si è ritrovato da solo su una poltrona dove prima sedevano in tre, mentre l’altro ha ritrovato inaspettatamente una poltrona, quella dei beni culturali, a cui era molto affezionato. Anche Zingaretti e molti altri del PD stanno bene dove sono, ma non ci tengono a farlo sapere in giro.

Ma, come spesso succede, c’è sempre qualcuno insoddisfatto. Nel nostro caso Renzi. Ha capito che l’uscita dal PD per fondare un nuovo partito non è stata una grande idea. Italia Viva gli va stretto, strettissimo. Troppo piccolo per il suo grande ego. Quindi, negli ultimi mesi ha cercato spesso di mettersi in mostra per guadagnare consensi agli occhi di quello che era il suo elettorato. Poi, visti gli scarsi risultati, ha tentato il tutto per tutto, minacciando e poi dando il via alla crisi per far cadere l’odiato Conte, che, dal canto suo, non vedeva l’ora di dirgli quello che, di negativo, pensa di lui come fece a suo tempo con l’altro Matteo. 

Renzi contava sul fatto che nessuno voleva le elezioni e pur di evitarle Conte e associati avrebbero soddisfatto le sue richieste. In parte ha avuto ragione perché le elezioni non ci saranno. Ma Conte per adesso è riuscito a fare a meno di lui. Da tempo aveva preparato un piano B, quello di rimpiazzare i renziani con qualche forzista in fuga da Arcore e centristi assortiti. Una soluzione poco elegante da prima repubblica che però ai Cinque Stelle non dispiace affatto. Un PD derenzizzato è sempre stato un loro desiderio. Inoltre se il governo va avanti potranno rimanere in parlamento ancora un po’.

Ma Renzi ha continuato a tirare la corda della crisi. Non si è accorto che era già sfilacciata e alla fine si è strappata e lui è finito a gambe all’aria.  Adesso non può nemmeno gridare al complotto .perché anche lui, come il suo gemello diverso Salvini, ha fatto tutto da solo. Rimane da capire il motivo. Gli italiani, a quanto pare, non l’hanno capito e forse nemmeno lui.