Così dopo tante discussioni, vertici e incontri non è cambiato niente. Ma sono tutti contenti.
I partiti perché hanno evitato la paralisi e guadagnato tempo e molti dei loro esponenti rimarranno sulle loro poltrone ancora per almeno un anno. Draghi perché spera di salire al Quirinale al prossimo giro, magari nel 2023, quando finirà la legislatura.
Nel frattempo i vari partiti rimarranno insieme, sia pure non proprio appassionatamente, in questo governo che assomiglia sempre di più al mostro di Frankenstein.
L’unico a non essere felice è il povero Mattarella costretto a rimanere al suo posto mentre si preparava a diventare senatore a vita, un ruolo decisamente meno impegnativo di quello di presidente.
Anche noi cittadini non siamo troppo felici di vedere che non cambierà nulla. Almeno fino alle prossime elezioni che probabilmente vincerà il cdx che, poco dopo, potrebbe eleggere presidente uno dei suoi prestigiosi esponenti. Circola già un nome, quello del dimenticabile Tremonti. O, magari, anche peggio, chissà.
Ma non fatelo a sapere a Letta e compagnia, potreste rovinargli la festa.
Sembrava fatta. Erano tutti pronti ad annunciare l’habemus papam, anzi la papessa. Il coniglio uscito dal cilindro di Salvini, la Casellati. Già dai primi voti scrutinati si facevano proiezioni fantasiose sul totale che avrebbe raggiunto. Qualcuno scommetteva che avrebbe superato di slancio i 400 voti e si sarebbe avvicinata ai 450. Il cdx unito avrebbe mostrato la sua forza e gli altri non avrebbero potuto fare a meno di salire sul carro della vincitrice alla votazione successiva.
Intanto le schede uscite dalle urne passavano veloci nelle mani Fico e della eligenda. La maggior parte avevano il suo nome, tranne qualcuna che indicava Mattarella, Di Matteo, Casini, Cartabia, Berlusconi e perfino Galliani. Ma, alla fine, l’irresistibile corsa della predestinata si è interrotta a quota 382.
Allora le facce sorridenti sono diventate scure e hanno cominciato a guardarsi intorno alla ricerca di un indizio o di un suggerimento come capita a scuola a chi non ha studiato. Poi qualcuno ha nominato Draghi ed è partito il riassunto delle puntate precedenti su chi lo voterebbe e chi no. Con il sospetto che alla fine potrebbe non essere lui il prossimo inquilino del Quirinale.
Perché a palazzo Chigi lo hanno voluto i vari poteri economici e finanziari e vorrebbero che ci rimanesse. Mentre al Quirinale, per adesso non si capisce bene chi lo voglia davvero. A quanto pare lo voterebbe il csx in ordine sparso e la parte di cinque stelle che fa capo a Di Maio. Gli altri continuano vederlo come il fumo negli occhi. Anche Salvini e Meloni non lo vorrebbero sul colle più alto perché lui è sicuramente di destra, ma non è un loro uomo.
Quindi per risolvere il dilemma, in teoria, basterebbe trovare un altro nome, magari di provenienza DC. Ma, per adesso, l’unico disponibile sembra l’eterno Pierferdi, che con i suoi valzer tra centro, destra e sinistra crea qualche imbarazzo. Ma quello che preoccupa di più i partiti sono i possibili effetti collaterali che potrebbe provocare questa sofferta elezione.
Perché se l’eletto sarà l’ex BCE, trovare qualcuno che lo sostituisca a palazzo Chigi potrebbe rivelarsi una missione impossibile e portare alle elezioni in primavera.
Ma anche la sua mancata elezione, sostengono quelli che vorrebbero rimanere sulla loro comoda poltrona fino al 2023 e anche oltre, potrebbe creare non pochi problemi.
Infatti, questi sospettano che il super candidato sia molto pieno di se e anche piuttosto permaloso. Quindi se non riuscisse ad arrivare al Quirinale potrebbe anche salutare la compagnia e tornare a godersi la sua pensione dorata provocando così la fine anticipata della legislatura. Per tanti politici sarebbe una disgrazia, ma noi cittadini, pur consapevoli della grave perdita, ce ne faremmo una ragione.
Da parecchie settimane la situazione politica sembra cristallizzata, immobile e ripetitiva. Ogni giorno leggiamo, come sempre, raffinate e sottili disquisizioni sulle parole dette e non dette da Draghi.
Le ultime sono quelle scritte sul pasticcio delle misure anticovid che lo ha visto costretto, per la prima volta, a faticosi compromessi che hanno dato vita a misure probabilmente utili solo a creare confusioni e conflitti. Ma che importa.
Dicono che è comunque un buon segno. Vuol dire che i partiti ritornano a far sentire al loro voce a svolgere il loro ruolo democratico. Che poi i partiti in questione siano la Lega e FDI che esprimono idee non proprio democratiche è solo un dettaglio.
Ma Draghi non ha gradito. Il compromesso non è nella sue corde. Lui è abituato a dare ordini e a vederli eseguire. Perché sa cosa è meglio per il paese, anzi per il suo Pil. Infatti i giornali scrivono ogni giorno, da mesi, che il Pil è in crescita e Draghi è il suo profeta.
Non dicono che la crescita attuale è stata favorita dalla finanziaria del precedente governo. Non spiegano nemmeno a che prezzo il Pil sta crescendo. Aumento degli infortuni sul lavoro, delle disuguaglianze e della povertà. E neppure si sente più dire che l’ex BCE non è mai stato eletto. Un tormentone che abbiamo sentito per anni, da Monti a Conte, passando per Renzi.
Ma Draghi è l’ennesimo unto del Signore, l’uomo della provvidenza, una grande risorsa per il paese. Talmente preziosa che molti vorrebbero si sdoppiasse. Così potrebbe rimanere al governo e contemporaneamente andare al Quirinale. Ma tra le tanti doti a lui attribuite i non c’è quella dell’ubiquità. Una mancanza che tormenta i partiti da settimane.
Ma lui ponendo fine all’imbarazzo generale, sembra aver trovato la soluzione del problema. Prenderà il posto di Mattarella e metterà il pilota automatico al governo. Ovvero piazzerà un suo uomo di fiducia, un alter ego, a fare il premier. Semplice e geniale. i politici non ci avevano ancora pensato e, forse, non ci penseranno mai. Chissà!
L’ha detto per la quarta volta. Non ha intenzione di rimanere al Quirinale nemmeno un giorno in più. Quindi se i politici saliranno al colle in processione, per convincerlo a rimanere, troveranno il portone chiuso. Nelle sue stanze a quel punto Sergio Matttarella avrà già preparato gli scatoloni per trasferirsi nella nuova casa romana che ha, da poco, preso in affitto. Dunque il caso Napolitano non si ripeterà.
Anche i politici più ottusi a questo punto dovrebbero averlo capito. Ma la soluzione del problema sembra ancora lontana. Draghi, in teoria il più quotato, non ne parla. A quanto pare il ruolo di primo ministro non gli dispiace, ma anche finire la sua carriera salendo al colle più alto deve essere una prospettiva allettante. Nel dubbio, preferisce non esprimersi. Forse per non bruciare la sua candidatura oppure perché spera di unificare le due cariche. Chissà! Anche i suoi esegeti non sanno che dire.
Intanto spuntano tutti i giorni nomi di nuovi candidati. Ad esempio Giuliano Amato. Ma è colui che in una notte di luglio del “92” mise le mani nei nostri conti correnti prendendosi il 6×1000 da ciascuno. Questo gli italiani, nonostante le loro memoria corta, se lo ricordano ancora benissimo.
Poi gira anche il nome di Casini, l’eterno Pierferdi, un uomo per tutte le stagioni. Un democristiano doc, che senza una comoda poltrona su cui sedersi morirebbe. A suo favore ci sono le tante conoscenze che ha in parlamento, visto che ha fatto il giro di quello che, una volta, si chiamava arco costituzionale. Dal centro, dove è nato, si è spostato prima a destra e, dopo quasi vent’anni, è approdato a sinistra, o meglio, nel PD. Alle ultime elezioni si è candidato nientemeno che a Bologna, storica roccaforte della sinistra, come se fosse la cosa più naturale del mondo, ed è stato pure eletto. Da non sottovalutare.
Altre voci incontrollate annunciano la possibile candidatura di Marta Cartabia, attuale guardasigilli e passacarte del governo. Il suo unico punto a favore è che sarebbe la prima donna presidente, ma con i tempi e le destre che corrono la sua elezione non sembra molto probabile.
Altro improbabile candidato, secondo alcuni giornali, è Massimo Cacciari. Anche se, rissoso e polemico com’è, non sembra molto adatto ad assumere una carica super partes come quella di presidente della repubblica. E poi è troppo intellettuale, troppo di sinistra. Troppo di tutto.
Infine c’è l’outsider, quello che non ti saresti mai aspettato. Nientemeno che l’ex cavaliere. Certo è un po’ svampito, oltre che pregiudicato, ma i suoi media adesso ne parlano come se fosse un padre della patria e Ruby la nipote di Mubarak. Piero Sansonetti direttore del Riformista, uno dei giornali di famiglia, è arrivato a dire che eleggerlo presidente sarebbe il giusto risarcimento per le tante persecuzioni giudiziarie di cui è stato vittima. Infatti, se fosse eletto, diventerebbe anche capo del CSM, ma, come dicono i maligni, sarebbe come se Dracula diventasse presidente dell’Avis.
Il secondo lunedì nero per il cdx, ancora più nero del primo, ha cambiato il clima politico. In tv non si parla d’altro. Si fanno acute e sofferte analisi sulla sconfitta con evidente preoccupazione. Quando si trattava di analizzare una delle tante sconfitte del cx il clima era disteso, si susseguivano sorrisi, risatine e battute, come quando, tra amici, si parla delle corna di un conoscente.
Ma qui il cornuto è il cdx tradito dagli elettori che, in parte, hanno votato per gli altri, oppure hanno preferito rimanere a casa piuttosto che dare il proprio appoggio ai suoi improbabili candidati. I commentatori sono preoccupati perché i loro editori sono quasi tutti vicini al cdx e temono che non sia più in grado di vincere. La situazione sembra più grave del previsto.
A Roma scommettevano che Raggi e Calenda avrebbero tolto voti al cx. Prevedevano un testa a testa tra Gualtieri e Michetti, invece è finita 60 a 40. A Torino stesso risultato. Non solo. Hanno perso con un risultato non molto diverso anche a Cosenza dove i giochi sembravano fatti. Brutto segno.
Allora tutti a dire che c’è bisogno di una rifondazione, di una ripartenza e il pensiero va subito a colui il cdx se l’era inventato, Berlusconi ex cavaliere Silvio.
Qualcuno spera ancora che possa rimetterlo insieme. Peccato che ormai, quando appare in pubblico, sembri appena uscito dal museo delle cere. Gli anni passano, la verve non è più la stessa e le sue leggendarie barzellette non fanno più ridere. Lui che garantiva per tutti i suoi improbabili alleati non sembra in grado di fermare la corsa sfrenata di Salvini e Meloni verso l’estrema destra.
Ma alternative non ce ne sono. Un altro con i suoi soldi e le sue tv in Italia non c’è. Inoltre in un’Italia in fondo ancora democristiana, a molti era sembrato l’erede della DC, come anche a qualcuno del PD.
I suoi fedelissimi lo vorrebbe addirittura al posto di Mattarella. Certo, sarebbe uno spasso. Ve l’immaginate lui che organizza cene eleganti al Quirinale? Oppure che fa le corna in una foto con un altro capo di stato come ai tempi d’oro? Sarebbe un gran finale per uno che si è sempre fatto prima di tutto gli affari suoi.
I nostri affari, invece, non se li è ancora fatti nessuno.