Vintage

La moda da parecchi decenni non propone più niente di veramente nuovo, ma si limita a riproporre scampoli di mode del novecento. Tentativi di revival che lasciano il tempo che trovano. Quella più ricca di spunti e proposte è ovviamente quella femminile.

Mentre noi uomini possiamo solo scegliere il colore e il tessuto di giacche e pantaloni, che da anni  vanno di moda più stretti di almeno una taglia. 

La cronica crisi economica ci aveva spinto verso i marchi a basso costo o verso gli outlet. Ma non solo.  Da frequentatore abituale di mercatini dell’usato avevo  notato da tempo che i reparti di vestiti vintage erano piuttosto frequentati.

Con la pandemia la tendenza si è trasferita on line. Infatti i  siti di compravendita di abbigliamento usato stanno facendo affari d’oro. Pare siano soprattutto i più giovani i clienti più affezionati. Preferiscono i capi vintage perché costano meno ed è facile trovare tra di essi dei  modelli originali che difficilmente si possono vedere indossati da qualcun altro, a differenza di quelli prodotti in grande serie.

In più la qualità è spesso migliore perché qualche decennio fa non imperava ancora il made in china o in altri paesi con mano d’opera a basso costo. Anche la disponibilità è buona visto che molti hanno approfittato dei vari lockdown per svuotare gli armadi.

Qualcuno sì è anche liberato di qualche capo di alta moda, magari acquistato per un’occasione importante, ma ormai inevitabilmente datato. A qualcun altro però può interessare un prodotto dell’epoca d’oro degli stilisti italiani.

Tutto bene quindi? Dal punto di vista economico e del riciclo delle risorse ,certamente si, ma non altrettanto si può dire da quello delle idee.

Nel campo della moda, come altrove, continuiamo a guardare al passato alla ricerca di modelli validi anche per questo martoriato presente. Utopie retrograde, nostalgie di un passato che non passa e che adesso a qualcuno sembra migliore di quello che era.

Oppure si ripropongono punti di vita novecenteschi e ricette economiche e politiche ormai scadute, che non possono certo curare i mali del nostro tempo.

All’inizio degli anni novanta aspettavamo con ansia che il nuovo avanzasse, ma lo stiamo ancora aspettando.

Le cose cambiano

Una volta l’unica cosa che cambiava spesso era l’alta moda. Qualcuno, malignamente, sosteneva che era talmente orribile che ogni sei mesi dovevano cambiarla.

Adesso, invece, anche gli oggetti di uso comune hanno una durata limitata. Alcuni apparecchi come lavatrici, televisori ed anche alcune automobili sono costruiti in modo che non durino per sempre, ma si guastino dopo un certo periodo di tempo. La chiamano obsolescenza programmata.

Caratteristica di una società ormai basata sull’usa e getta.

Anche le idee hanno subito la stessa sorte. Non durano più decenni, ma solo pochi anni se non addirittura pochi mesi.

I partiti, naturalmente, non fanno eccezione. Alcuni nascono e spariscono nel giro di un mattino. Le cose cambiano in fretta e bisogna adeguarsi per rimanere sulla cresta dell’onda.

Anche la cosiddetta forma partito è ormai obsoleta, così come la parola stessa. Quindi se volete fondare qualcosa di simile ad un partito non mettete quella parola ormai superata nella sigla che sceglierete.

Chiamatelo piuttosto movimento, circolo o club e inventatevi un nome come Movimento a cinque stelle, Italia Viva Azione, Sardine ecc. Così nessuno potrà accusarvi di far parte della famigerata partitocrazia.

L’unico gruppo parlamentare che non si è adeguato ai tempi ed è ancora soggetto a questa accusa è quello che i radical chic, non a caso, chiamano Piddi.