Festa con sorpresa

Invece del solito post ho pensato di pubblicare questo mio vecchio racconto appena ritrovato nei meandri della memoria del computer.  Buona lettura.  

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                      Festa con sorpresa

Giorgio si era innamorato. Ogni tanto gli succedeva. Quando riusciva a parlare per più di cinque minuti con una ragazza, di solito non tanto alta, minuta e con un bel sorriso, se ne invaghiva immediatamente. Questa si chiamava Jenny e aveva anche dei bellissimi occhi grigio-azzurri. Giorgio pensò che quegli occhi potessero scrutargli anche l’anima. Ne era rimasto folgorato. E non solo per il suo aspetto. 

Jenny aveva confidato a Giorgio i suoi progetti per il futuro. Dopo la maturità aveva intenzione di iscriversi ad architettura per poi lavorare nell’impresa edile di famiglia. Poi avrebbe voluto sposarsi, avere almeno due figli e andare ad abitare in un certo palazzo antico nel centro storico, dove abitavano i nonni. Giorgio rimase sorpreso e ammirato da quel programma di vita così preciso. Lui riusciva a stento a mettere in fila le cose da fare un giorno per l’altro. Pensò che Jenny fosse, senza alcun dubbio, la ragazza giusta per lui. Quindi avrebbe dovuto farglielo saper al più presto.

Decise di invitarla a cena quel sabato sera. Aveva pensato che, dopo aver mangiato e bevuto, avrebbero anche potuto appartarsi in macchina in un certo posto tranquillo fuori città. 

Quindi cominciò a scrivere un messaggio su whatsapp, ma poi pensò che era un mezzo troppo freddo per chiedere a una ragazza il primo appuntamento. Quindi, dopo qualche minuto di preparazione, telefonò a Jenny. Dopo pochi convenevoli stava per proporle una cena a due. Ma lei lo anticipò. Quella sera doveva andare alla festa di compleanno di una sua compagna di classe, una certa Antonella, che conosceva anche Giorgio. Lui, sorpreso e dispiaciuto, riuscì solo a biascicare che non sapeva niente della festa.

A Jenny sembrò che volesse andarci e, visto che era una delle organizzatrici dell’evento, provvide subito ad invitarlo. Lui esitò per qualche secondo, ma poi, allettato dall’idea di rivedere Jenny, seppure in compagnia, accettò. Appuntamento alle dieci in una villa in collina. Arrivò in anticipo sul suo Maggiolino anni 70, regalo vintage di papà per il suo diciottesimo compleanno.

C’era tanta gente, ma non Jenny. Alle dieci e quarantadue non si era ancora vista. Arrivò circa tredici minuti dopo, ma non da sola. Era arrampicata su un ragazzo alto con la barba e i capelli lunghi biondicci. Jenny fece le presentazioni e Giorgio apprese che quel tale si chiamava Steve, ed era un americano venuto in Italia a studiare archeologia. Jenny lo definì suo amico, ma l’atteggiamento che aveva verso di lui non lasciava spazio ad alcun dubbio. Quello era, o stava per diventare, il suo ragazzo, anzi, il suo amichetto, come sibilò tra se Giorgio, con disprezzo e una punta di amarezza. Incazzato e deluso, pensò che era stato vittima di un caso di sfiga internazionale. Un tizio era venuto da un altro continente per rompere i coglioni proprio a lui.

Poco dopo decise di andarsene. La vista di Jenny insieme a Steve gli era insopportabile. Ma mentre si dirigeva verso l’uscita si imbatte in un’amica che non vedeva da anni. Se la ricordava con qualche chilo di troppo, brufolosa e simpatica. Mentre la ragazza che aveva davanti aveva la pelle liscia, le forme giuste, un bel sorriso ed era ancora simpatica. Giorgio si fermò a parlare con lei. per qualche minuto. Pensò che non era niente male e, magari, un giorno o altro, l’avrebbe chiamata per invitarla ad uscire con lui. Ovviamente non prima di averle chiesto se era già impegnata

Ma quella sera non aveva voglia di approfondire la sua conoscenza. Doveva mandare giù il rospo che aveva in gola e cominciò a bere. Prima uno spumante, poi un prosecco e quindi tutto quello che trovò in giro. Più tardi tirò su anche una riga di coca, gentilmente offerta dal fratello della festeggiata. Poi più niente. I suoi ricordi di quella serata si fermano qui.

Il mattino dopo ritrovarono il Maggiolino in una stradina secondaria con due ruote nel fosso. Dentro c’era Giorgio assonnato e un po’ confuso, ma illeso. Qualcuno notò sul lunotto della macchina un vecchio adesivo un po’ sbiadito, ma ancora leggibile. C’era scritto: ”Non seguitemi, mi sono perso anch’io.”

Socialismo scolastico

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” E pensare che all’inizio degli anni settanta cambiare il mondo sembrava possibile e tutti volevano partecipare al cambiamento, a cominciare dagli studenti.”

Sull’’onda dei ricordi lo zio ha rievocato, ancora una volta, un episodio che sarebbe accaduto mentre frequentava il liceo.

“Il ginnasio –  racconta lo zio – lo avevamo passato sotto le grinfie di una prof, quella di italiano, latino, greco, che ci aveva costretti a studiare duro e senza discutere, ma in prima liceo avevamo già cominciato a prendere le distanze dai professori. L’anno dopo, eravamo quelli che davano più filo da torcere agli insegnanti. Contestavamo certi metodi di insegnamento, le interrogazioni a sorpresa e i programmi di materie come la storia che arrivavano solo all’inizio del novecento. Seguivamo poco le lezioni che non ci piacevano e non perdevamo uno sciopero né altre occasioni per saltare qualche lezione.

Ma c’era anche chi studiava regolarmente e non perdeva una lezione. Erano sei ragazzi particolarmente diligenti che chiamavamo, scherzosamente, secchioni qualunquisti.

Quell’anno l’insegnante titolare si era presa un anno sabbatico lasciando via libera ad una girandola di supplenti. Alla metà di marzo si erano già alternate tre giovani ragazze alle prime esperienze didattiche. Sapendo di dover affrontare una classe problematica avevano cercato, ognuna a modo suo, di arrivare ad una convivenza pacifica. Una aveva proposto interrogazioni programmate e volontarie. Un’altra si era limitata a fare lezione solo ai secchioni pregando gli altri di non fare troppo rumore. Un’altra ancora aveva portato in classe una stecca di sigarette e le aveva distribuite a tutti.

Ma, dopo un paio di mesi scarsi, anche lei aveva ceduto. Seguirono alcuni giorni con supplenze occasionali di professori di altre sezioni. Poi fu annunciato l’arrivo dell’ennesima supplente. Apprendemmo la notizia quasi con indifferenza. Perché eravamo sicuri di aver conquistato un certo potere contrattuale che avremmo fatto valere anche con l’ultima arrivata.

Ma quando entrò in classe una ragazza bionda, minuta, con gli occhi color nocciola e un’espressione smarrita invece della solita confusione si sentì solo il brusio dei commenti a bassa voce. Così la biondina, come venne subito soprannominata, ebbe il tempo di svelare le sue intenzioni. Avrebbe voluto finire il programma e concordare con la classe un calendario per le interrogazioni. Ma era disponibile a prendere in considerazione qualsiasi proposta utile ad arrivare alla fine dell’anno senza intoppi.

Anche le supplenti precedenti avevano fatto un esordio del genere, ma nessuno l’aveva preso sul serio e si erano ritrovate a parlare solo con i secchioni mentre gli altri erano impegnati  a leggere fumetti, passeggiare nei corridoi, giocare a carte oppure a rugby, il  passatempo preferito dai più scatenati. Durante la ricreazione prendevano la borsa di uno dei secchioni e poi la usavano come se fosse una palla e giocavano a rugby in fondo alla classe, dietro l’ultima fila di banchi e, spesso, continuavano a giocare anche alla ripresa delle lezioni.

Ma quella mattina l’aspetto fragile, e la voce incerta della biondina convinsero anche i più indisciplinati di noi a rimanere tranquilli. Pensammo che prendersela con una così sarebbe stato come sparare sulla croce rossa. Per qualche minuto rimanemmo tutti insolitamente in silenzio, perché nessuno sapeva cosa fare.

Poi, dalla penultima fila si alzò una mano, quella di Ferroni, detto il sovietico, perché sosteneva di essere fedele alla linea del PCUS. In poche parole illustrò la sua proposta, quella dividere la classe in gruppi di studio, ognuno dei quali si sarebbe occupato di un tema specifico. Per dare più forza alle sue parole concluse con una presunta citazione di Marx:” I filosofi hanno interpretato il mondo in vari modi, ma adesso è il momento di cambiarlo.”

Qualche giorno dopo la classe si divise in cinque gruppi ognuno composto da sei studenti. I secchioni si occuparono del romanticismo. Gli altri preferirono argomenti più politici e studiarono la rivoluzione francese, con particolare riferimento alla comune di Parigi, il materialismo storico e l’attualità del pensiero marxista. Ogni gruppo presentò una relazione che venne letta e commentata in classe. Qualcuno pensò che quella fosse una forma di socialismo scolastico.

Tutto sembrava andare bene. Finché, dopo circa otto o forse nove settimane, inaspettatamente, la biondina annunciò la sua intenzione di andarsene perché aveva ricevuto un incarico all’università. La notizia provocò delusione e rammarico generale. I secchioni erano i più dispiaciuti e pensarono ad un modo originale per salutare la biondina.

Alla fine dell’ultima lezione uno di loro tirò fuori da sotto il banco un mazzo di rose rosse ed andò a posarlo sulla cattedra. La biondina non ebbe il tempo di riprendersi dalla sorpresa che ci alzammo tutti in piedi e cominciammo a cantare:” Ciao ciao bambina”. Sulla sua faccia stupita apparvero tutti i colori dell’arcobaleno e poi due lacrime le scesero sulle guance. Dalla sua bocca uscirono un’infinità di grazie mentre usciva inseguita dagli applausi.

Con lei se ne andò anche quella piccola, possibile, forma di socialismo scolastico. Forse fu per quello che anche Ferroni, il sovietico, ebbe un attimo di commozione, sebbene fosse convinto che certi sentimentalismi appartenessero ad una mentalità borghese. Ma sentiva di essere stato protagonista di una piccola rivoluzione, un buon inizio, in attesa, chissà, di dedicarsi ad una rivoluzione ben più grande.

Non immaginava certo che poi sarebbe arrivato il grande freddo. Ma questa è un’altra storia.”