
“Ricordo che una volta, quando si andava ad un matrimonio nella piccola chiesa del paese piena di gente, si sentiva un odore di naftalina e di lucido da scarpe. Perché tutti gli invitati avevano indossato il vestito, buono tirato fuori dall’armadio per l’occasione, e le scarpe della festa accuratamente lucidate.
Erano acquisti meditati e, di solito, fatti in negozi del centro storico. Anche noi che venivamo dalla campagna andavamo da quelle parti per gli acquisti importanti. Il negozio di città, secondo noi, aggiungeva valore agli acquisti.”
Lo zio venuto in città, dopo mesi di assenza, ha fatto un giro in centro e si è accorto che molti negozi che conosceva e frequentava ogni tanto, non ci sono più.
Qualcuno è sparito dalla sera alla mattina, qualcun altro dopo una lunga liquidazione totale. Altri ancora hanno chiuso i battenti perché i proprietari avevano raggiunto l’età della pensione e non avevano trovato nessuno che subentrasse al loro posto.
Tra i tanti lo zio ha citato una cappelleria dove andava ogni tanto il nonno, un negozio di casalinghi aperto nell’immediato dopoguerra e un bar centenario con ambienti e arredi ottocenteschi che, in seguito, ho visto, per caso, tristemente accatastati nel deposito di un rigattiere.
I segnali di crisi si erano già manifestati una decina di anni fa con strane e veloci alternanze nella gestione dei negozi. Alcuni cambiavano proprietari da un giorno all’altro e, dopo qualche mese, cambiavano ancora attività ed esercente. Soprattutto negozi di abbigliamento e calzature femminili che, nonostante avessero un buon numero di clienti, chiudevano senza una ragione apparente. Voci incontrollate dicevano che poteva trattarsi di casi di riciclo di denaro sporco.
Comunque sia, il centro storico sta lentamente perdendo la sua fisionomia. I piccoli negozi spariscono e al loro posto arrivano le grandi catene, soprattutto quelle di abbigliamento a basso costo. Perché nel terzo millennio anche i più poveri abbiano la possibilità di fare shopping portando a casa una quantità di abiti. scarpe e accessori vari, ma di scarsa qualità e spesso anche di breve durata.
“Mi sembra di capire, ha concluso lo zio, che il vestito buono del nonno è roba da museo.”
Adesso imperversa l’usa e getta.