Redde rationem

Tanto tuonò che piovve, dicono da queste parti. Dopo tanti sondaggi e tante chiacchiere inutili è arrivato il giorno del “redde rationem”. 

Lo sapevano tutti che la politica di Letta era sbagliata. Tranne lui, naturalmente. Non ha capito che dopo tanti anni di crisi e due anni di Covid, alla gente non interessa lo ius soli o lo ius scholae,  il cuneo fiscale e altre amenità del genere. Ma ha bisogno di sicurezza economica, stabilità politica e, soprattutto, di soldi per arrivare alla fine del mese. 

Invece il PD ha approvato, ad esempio, senza  alcuna esitazione, l’aumento delle spese militari, soldi che potevano essere usati diversamente. Ha appoggiato acriticamente il governo Draghi che non era gradito agli italiani come tutti volevano farci credere. 

Letta voleva addirittura continuare il suo lavoro, seguendo gli appunti della sua famosa agenda che non è esattamente di sinistra perché prevede, tra l’altro, di distribuire la maggior parte dei fondi europei a banche ed imprese, soprattutto medie e grandi. Lasciando agli altri solo gli spiccioli perché bisogna far tornare i conti. A spese dei più poveri, come sempre. 

Nessuno, tanto meno Letta e soci, sembra ricordarsi che la crisi economica e sociale ormai cronica è stata causata dal sistema neoliberista economico-finanziario, quello morto di infarto per indigestione di titoli tossici nel 2008 e diventato poi un fantasma che si aggira ancora oggi  per l’occidente. Si sono tutti allineati da tempo al pensiero unico. E la crisi continua. 

Tutto questo, ed altro ancora, è risultato particolarmente indigesto a molti potenziali elettori. Al punto che parecchi di loro non si sono limitati ad astenersi, ma hanno votato contro il PD. Probabilmente anche scegliendo la Meloni. Infatti nelle cosiddette regioni rosse c’è stato un aumento dei votanti, che però non si è tradotto in voti per il PD. Infatti, solo in Emilia Romagna è ancora il primo partito. 

Ma, dopo tutto, era nato morto e adesso è arrivato il momento di celebrarne finalmente il funerale.

Intanto ci ritroveremo tra poco con il governo più di destra della storia recente.

Alcuni si consolano pensando che la nascita del governo non sarà una passeggiata visto che Lega e Forza Italia  sono ormai ridotti ai minimi termini, ma vogliono ugualmente un posto al sole. Anche il suo percorso sarà pieno di ostacoli non facili da superare. Chissà quanto durerà. 

Altri sottolineano l’inaspettata rimonta di Conte che molti vedono come un futuro alleato della sinistra. Se, nel prossimo futuro, ci sarà ancora una sinistra.

Questa è una sintesi, sia pure approssimativa, delle reazioni al risultato elettorale e alla sconfitta annunciata del PD di amici e conoscenti. 

Ormai ogni risvolto, ogni piega nascosta è stata discussa, analizzata e interpretata. 

C’é solo un aspetto che ancora sfugge anche ai più autorevoli studiosi. Nemmeno loro hanno capito chi ha votato per Calenda.

Enrico 2, la vendetta

La proposta è sicuramente indecente e anche piuttosto insidiosa.

Gli hanno offerto una poltrona piuttosto scomoda, quella di segretario del PD. Qualunque politico con un un minimo di amor proprio di fronte ad una proposta del genere sarebbe fuggito a gambe levate. Il rischio di perdersi nel labirinto delle correnti del partito o di finire ostaggio di una o dell’altra è molto alto.

Avrebbe potuto fingere di non essere in casa, oppure di avere il telefono scarico, invece, lui, Enrico Letta, ha risposto. Ha riflettuto per un paio di giorni e ha accettato. Quindi ha deciso di porre fine all’esilio parigino per tornare sotto i riflettori con un ruolo di primo piano. Un ruolo scomodo e pericoloso che potrebbe finire male, oppure dargli l’opportunità di assaporare il gusto della vendetta che tante volte gli sarà passata per la mente.

Quello stai sereno non l’ha mai digerito e Renzi gli è rimasto sullo stomaco da quel giorno di sette anni fa, il 22 Febbraio del 2014, quando dovette consegnargli la campanella del primo ministro.

Questa potrebbe essere un’occasione insperata per regolare i conti con lui. Quelli che nel PD, Zingaretti in testa, vorrebbero sbarazzarsi di Renzi e della sua corrente saudita, devono aver pensato che lui potrebbe essere l’uomo giusto per questa missione quasi impossibile.

Certo la sua motivazione è forte, ma non si è mai dimostrato aggressivo né particolarmente deciso. In fondo viene dalla scuola delle DC dove si insegnava l’arte del compromesso e non quella dello scontro. Adesso, invece, bisognerebbe combattere in campo aperto e senza uno scudo crociato dietro cui ripararsi. Senza contare il rischio di essere impallinato dal fuoco amico.

Però potrebbe trovare un alleato in Conte, richiamato alle armi da Grillo, che un Matteo lo ha già liquidato e, probabilmente, non vede l’ora di fare altrettanto con il secondo. Formeranno una strana coppia, ma nessuno ci farà caso.

Da un anno ormai viviamo strani giorni.

Per un pugno di selfie

Zinga

Da quando qualcuno ha inventato il selfie, tutti i narcisi del pianeta hanno scoperto un modo rapido ed efficace per mostrarsi al mondo in tutto il loro splendore. Il mondo, forse, ne avrebbe anche fatto a meno, ma loro sono inarrestabili.

Ovviamente i politici non potevano fare eccezione, sia per la loro elevatissima autostima, sia perché pensano che ad un selfie possa corrispondere un voto.

Lo pensa senz’altro, il più selfista di tutti. L’ex capitano che, in 14 mesi di governo, è comparso in centinaia di migliaia di selfie, che lo hanno ritratto accanto a uomini, donne e bambini, purché bianchi e italiani da almeno sette generazioni.

Ugualmente convinto, del potere dei selfie, nonostante tutte le botte che ha preso, sembra il narciso di Firenze, che, a suo tempo, perse il primato degli autoscatti insieme alla poltrona di presidente.

Ancora rimpiange quei mesi in cui si sparava selfie a raffica soprattutto con ragazzi e ragazze, per dimostrare la sua modernità e la sua vicinanza ai giovani, che però, non hanno dimostrato il suo stesso entusiasmo.

Più prudente in materia, invece, sembra il politico a ph neutro, né di destra né di sinistra, che aveva collezionato migliaia di selfie nella campagna elettorale per le Europee. Ma, dopo aver corso il rischio di diventare una stella cadente nel cielo di Agosto, ha rallentato il ritmo limitandosi ai ritrattini con la fidanzata e poco più.

Ancora incerto sul da farsi, invece, il Conte di Volturara, nonché avvocato e presidente degli italiani. Fa del suo meglio, ma non sembra padrone del mezzo. Il suo ultimo selfie, a conclusione di un piccolo bagno di folla, lo ha visto sorridente non accanto ad un potenziale elettore, ma con un cagnolino in braccio.

Infine il più scettico sul potere dei selfie è anche il meno mediatico di tutti, ovvero il segretario di quel che resta della sinistra. Visto che i suoi sostenitori non fanno la fila per essere immortalati insieme a lui, si comporta come un qualunque signor Rossi,  che, se capita l’occasione, chiede un selfie ad un personaggio famoso.

Infatti  qualche giorno fa, ha postato uno scatto con suo fratello Luca, alias Salvo Montalbano.

Almeno ha raccolto un bel po’ di like. Per i voti sarà più difficile.