Luigi non aveva molta voglia di andare in paese a festeggiare il primo maggio. Ma tutti quelli che passavano dalla strada che scendeva dalla collina lo invitavano ad andarci. Dicevano che c’era la banda, da mangiare, da bere e anche da ballare. Così tirò fuori dall’armadio il vestito buono, salì sulla vecchia bici e si diresse verso la piazza del paese. C’era tanta gente e un’atmosfera di festa contagiosa.
La banda era formata da quattro elementi. Uno suonava la fisarmonica, un altro la tromba, un altro ancora i piatti e infine un ragazzo provava a suonare il violino. Dopo vari tentativi di suonare in armonia, la fisarmonica prese il sopravvento e cominciò a suonare walzer. Si formarono subito parecchie coppie e iniziarono le danze.
Luigi non sapeva ballare e allora si diresse verso il bar della piazza alla ricerca di un vero caffè dopo tanta cicoria. Non appena entrò nel locale il barista gli andò incontro e gli disse che, forse, aveva una buona notizia per lui.
Nel suo locale c’era l’unico telefono del paese e qualcuno aveva appena chiamato dalla città per dire che cinque ragazzi del paese, che erano stati deportati in Germania, erano arrivati da poco in stazione. Luigi pensò subito che uno di quei ragazzi avrebbe potuto essere suo figlio. Quindi doveva andare in città al più presto. In bicicletta avrebbe impiegato troppo tempo per percorrere più di venti chilometri e poi ci voleva un mezzo per riportare a casa i ragazzi.
Allora sparse la voce tra la folla ed il falegname del paese disse che aveva un camioncino abbandonato dai tedeschi e si poteva andare in città con quello. Dopo pochi minuti erano già partiti. Mezz’ora più tardi arrivarono in città e, poco dopo, in stazione. Luigi entrò nella sala d’aspetto e si guardò subito intorno alla ricerca di una faccia famigliare.
In un angolo vide cinque ragazzi con dei vestiti troppo larghi che li facevano sembrare ancora più magri. Avevano tutti la barba e i capelli lunghi ed erano irriconoscibili. Finché, dopo qualche istante, che a Luigi sembrò interminabile, uno di loro gli si avvicinò e lo abbracciò senza dire una parola. Era suo figlio Mario che non vedeva da più di due anni. Magro, debole, stanco, ma ancora vivo.
Questa storia mi è stata raccontata più volte dal nonno Luigi che la concludeva sempre dicendo che quello del 1945 fu il più bel primo maggio della sua vita.