
Hanno lo stesso nome e più o meno la stessa età. Hanno partecipato entrambi ad un quiz televisivo.
Entrambi sono scarsi come imitatori: tempo fa uno si lanciava nell’imitazione del Duce mentre l’altro preferiva Fonzie.
Amano fare selfie con chiunque e smanettare sui social.
Una volta diventati segretari hanno portato il loro partito più a destra.
La loro autostima è alta, a volte esagerata. Amano il potere e lo esercitano con molto piacere.
Hanno un bisogno quasi fisico di essere al centro dell’attenzione, sotto la luce dei riflettori e davanti alle telecamere.
Nati per comandare, almeno secondo loro, cercano di assumere il piglio decisionista del capo, quello che non deve chiedere mai.
Oltre che in sé stessi credono un po’ anche in Dio e nella Madonna. Infatti si dichiarano cattolici praticanti e nel loro pantheon personale mettono entrambi Giovanni Paolo II.
Adesso si ritrovano spesso insieme dalla stessa parte della barricata, di solito contro il governo di cui fanno parte. Come nel caso del ddl Zan e del reddito di cittadinanza.
Ma qualche differenza comincia a venire alla luce.
Matteo S., da quando se n’è andato dal Viminale, ha perso il piglio da capitano ed è spesso impegnato in veloci slalom tra posizioni e opinioni diverse che cambia da un giorno all’altro, come una cravatta.
Mentre Matteo R. è ancora assolutamente sicuro di sé. Basti pensare alla sicumera con cui si è lanciato contro il RDC con motivazioni che, probabilmente, hanno fatto rabbrividire i suoi colleghi.
Nessun politico, neppure l’altro Matteo, infatti, si sarebbe azzardato a dire che gli italiani devono soffrire e sudarsi il loro magro stipendio: Giusta punizione per non essere riusciti ad emulare Steve Jobs o Jeff Bezos.
Un’affermazione scaccia-elettori che va decisamente contro la continua ricerca del consenso, la prima preoccupazione dei politici del nuovo millennio.
Ma lui insiste perché l’importante è esserci, apparire, far in modo che si parli di lui.
Probabilmente non ha ancora capito il motivo del suo incredibile e inatteso successo e del rapido declino che ne è seguito.
Adesso cerca in ogni modo di sfuggire all’ irrilevanza, la sua paura più grande, che condivide con l’altro Matteo. Ma, come sostiene la psicanalisi, più si cerca di sfuggire al proprio destino e più gli si va incontro.
Matteo S, invece, più tranquillo, probabilmente tornerà al Papeete a fare il DJ.
il ridicolo il loro nestiere
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Disamina perfetta.
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Deliziosa analisi che mi trova pienamente d’accordo
PS confesso che entrambi mi danno il voltastomaco
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io per un periodo nel rottamatore ci ho creduto. (periodo molto breve a dire il vero) Che ingenua, è peggio di quell’altro! Sono uguali al punto che strumentalizzano ogni cosa che capita loro sotto mano, sia essa un rosario o una maglietta dell’esercito… Io poi caddi anche nel tranello del gatto arrostito da un extracomunitario e così mi beccai anche la gogna mediatica con gli hakers (perché dissi che chi muore di fame mangia anche i cadaveri… che è stravero, ma si sa che gli immigrati sono colpevoli di tutto a prescindere).
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Ci avevano creduto in tanti, perché era una faccia giovane e nuova che sembra potesse rilanciare la sinistra dopo anni di incertezze e sconfitte. Alla festa dell’Unità di Reggio Emilia erano venuti ad ascoltarlo in seimila sotto il tendone dei dibattiti dove di solito si riuniva solo qualche decina di volonterosi. Ma in breve tempo hanno capito che di sinistra aveva ben poco. Grazie Alidada, A presto.
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Sono entrambi disgustosi
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Il pensiero creativo che risolve le cose, difficilmente ha seguito. Ma la sua presenza si sente, eccome. E non mi riferisco a Salvini.
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