
Una volta si diceva che in provincia l’unica cosa che, ogni tanto, cambiava era il tempo. Mentre nel resto del mondo l’unica cosa che cambiava spesso era l’alta moda. Qualcuno, malignamente, sosteneva che era talmente orribile che ogni sei mesi dovevano cambiarla.
Adesso, invece, anche gli oggetti di uso comune hanno una durata limitata. Alcuni apparecchi come lavatrici, televisori ed anche alcune automobili sono costruiti in modo che non durino per sempre, ma si guastino dopo un certo periodo di tempo. La chiamano obsolescenza programmata.
Caratteristica di una società ormai basata sull’usa e getta. Nemmeno la scienza offre più punti fermi. I dati altalenanti sull’efficacia dei vaccini e e le fasce d’età indicate per il loro utilizzo ne sono solo l’ultima, sconfortante, prova.
Anche le idee hanno subito la stessa sorte. Non durano più decenni, ma solo pochi anni se non addirittura pochi mesi.
I partiti, naturalmente, non fanno eccezione. Alcuni nascono e spariscono nello spazio di un mattino. Le cose cambiano in fretta e bisogna adeguarsi per rimanere sulla cresta dell’onda.
Anche la cosiddetta forma partito è ormai obsoleta, così come la parola stessa.
Quindi se, avete la poco originale idea di fondare qualcosa di simile ad un partito, chiamatelo piuttosto movimento, circolo o club.
Tempo fa chiunque vi avrebbe consigliato di inventarvi un nome come Movimento a cinque stelle, Italia Viva, Azione, Sardine ecc. Ma vista la situazione in cui si trovano oggi,, forse, è meglio di no. Comunque non usate la parola partito. Così nessuno potrà accusarvi di far parte della famigerata partitocrazia.
L’unico gruppo parlamentare che non si è adeguato ai tempi ed è ancora soggetto a questa accusa è quello che i radical chic, non a caso, chiamano sempre Piddi.
Infine assicuratevi che la sigla del vostro nuovo gruppo non sia uguale a quella di altri. La cosa potrebbe generare spiacevoli equivoci.
Ad esempio, in questi giorni, secondo voci di corridoio, starebbe per tornare alla luce Italia dei Valori, il partito fondato da Antonio di Pietro. Una sigla che assomiglia pericolosamente ad un’altra ben poco amata dagli italiani.